I nostri articoli

Ne avevamo già parlato in passato, ma – come spesso accade – repetita juvant.

La Corte di Cassazione, in una sentenza recente, è tornata sulla questione dell'aggiornamento del DVR.

Tempo d’estate, tempo di tuffi in piscina. E la normativa regionale per le strutture ricettive che offrono questo tipo di servizio è abbastanza stringente circa le analisi dell’acqua in vasca. Non si tratta di inutili vessazioni, ma di misure di cautela e buonsenso per prevenire problemi di salute ai bagnanti. Batteri e bacilli molto comuni sono, per esempio, i seguenti.

Escherichia Coli: si trova principalmente negli intestini e nelle feci e può provocare crampi, diarrea, vomito, polmonite, peritonite, cistite, sepsi e meningite. Un’acqua non adeguatamente trattata con il cloro potrebbe favorire la trasmissione del batterio involontariamente trasmesso da bagnanti con problemi gastrointestinali o non sufficientemente puliti. Fare la doccia prima di entrare in acqua e rifarla dopo è perciò una misura igienica di prevenzione.

Pseudomonas aeruginosa: è un bacillo che può causare otite, infezioni delle vie urinarie e del tratto respiratorio, congiuntivite e follicolite. Resiste al cloro e si moltiplica rapidamente in acqua a temperatura elevata. Una cattiva manutenzione della vasca, un mediocre o pessimo funzionamento dell’impianto di disinfezione e livelli di cloro inadeguati influiscono sulla presenza di pseudomonas.

Stafilococco: altro batterio comune in piscina, si annida nelle piccole ferite o punture d’insetti grattate e può provocare congiuntiviti e otiti.

Enterococco: in grado di sopravvivere a lungo su oggetti inanimati e alla luce solare diretta, possono portare infezioni alle vie urinarie e causare endocarditi.

Abbiamo descritto solamente alcune delle situazioni più a rischio e frequenti. Già da sole, però, mettono in luce quanto siano importanti da un lato una corretta gestione dell’impianto di piscina e dall’altro il ricorso costante e sistematico ad analisi di laboratorio.

È entrato in vigore il D.Lgs. 231/2017, relativo alla disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, nonché per quanto attiene all’adeguamento alle regole comunitarie in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti.

Le principali novità:

  • Per la vendita di prodotti non preimballati finalmente vengono chiarite le informazioni che devono essere rese note ai consumatori.
  • Per i prodotti  della  gelateria, della  pasticceria, della panetteria, della pasta fresca e della gastronomia, comprese  le preparazioni  alimentari,  viene ripristinato il cosiddetto “cartello unico degli ingredienti” che, in certi casi, può essere sostituito da  sistemi equivalenti, anche digitali.
  • Precisazioni ulteriori per i pubblici esercizi che dovranno effettuare solamente l’indicazione delle sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze.
  • Per le acque idonee al consumo umano non preconfezionate, somministrate nelle collettività e in altri esercizi pubblici, dovranno essere riportare, ove trattate, la specifica denominazione di vendita «acqua potabile trattata» o «acqua potabile trattata e gassata» se è stata addizionata di anidride carbonica.

Sanzioni

L’operatore del settore alimentare che viola le disposizioni in materia di vendita dei prodotti non preimballati è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 8.000 euro.

L’operatore del settore alimentare che omette, nella vendita dei prodotti non preimballati e degli alimenti non preimballati serviti dalle collettività, l’indicazione delle sostanze o prodotti che possono provocare allergie o intolleranze è soggetto alla sanzione amministrativa da 3.000 a 24.000 euro.

L’operatore del settore alimentare che omette, nelle fasi precedenti la vendita al consumatore o alle collettività, le indicazioni obbligatorie, è soggetto all’applicazione della  sanzione  amministrativa  pecuniaria da 500 a 4.000 euro.

Ancora la figura del preposto al centro dell’attenzione per la Corte di Cassazione, con una sentenza recentissima, pubblicata il 2 maggio scorso.

I fatti. Due operai, mentre completano i lavori di un solaio prefabbricato in un capannone in costruzione, precipitano: uno muore e l’altro riporta gravi lesioni. Viene condannato il direttore del montaggio delle opere prefabbricate perché avrebbe dovuto seguire l’andamento dei lavori di montaggio della struttura, comunicare in modo sollecito la necessità di puntellare la zona a rischio crollo e diffidare chiunque dall’iniziare i lavori che stano facendo i due operai come peraltro previsto dal POS. Rileva la corte che il direttore del montaggio era un preposto di fatto e avrebbe dovuto verificare  che soltanto i lavoratori che avevano ricevuto  adeguate istruzioni accedessero alle zone a rischio, informandoli del pericolo grave e immediato e cooperando all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro. Inoltre, avrebbe egli stesso dovuto informarsi e informare circa il rischio da interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva. La Cassazione condanna il preposto al pagamento delle spese processuali e a un’ammenda di duemila euro.

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