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Una recente sentenza della Corte di Cassazione (la n. 5233 del 16 marzo scorso) conferma una giurisprudenza che vale la pena ricordare anche in questa sede.

 

La sorveglianza dovuta da datori di lavoro, dirigenti e preposti non deve essere ininterrotta e con costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, ma può anche sostanziarsi in una discreta, seppure continua ed efficace, vigilanza generica, intesa ad assicurarsi – nei limiti dell’umana efficienza – che i lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite e utilizzino gli strumenti di protezione prescritti.

L’obbligo di vigilanza è poi ulteriormente attenuato in base al principio del ragionevole affidamento nelle accertate qualità del dipendente: per esempio, un operaio che svolge una determinata lavorazione da tanti anni ed è stato adeguatamente formato e informato anche sui rischi legati alla mansione, si ipotizza che ne abbia approfondita conoscenza.

Tutto ciò premesso, però, non deve esserci una totale omissione di controllo, motivata magari con la semplicità di una mansione. E questo vale soprattutto se le condizioni dell’ambiente di lavoro richiedono tale controllo:ad esempio, se c’è illuminazione insufficiente ed è richiesto l’uso di lampade mobili e occhiali protettivi. 

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